Morgando: “Voglio dare l’esempio e non mi candido alle Politiche Nessuno avrà il posto garantito”

26 settembre 2012
da La Stampa - Intervista a Gianfranco Morgando

Ci vogliono dei gesti capaci di segnalare la volontà del Partito Democratico di collocarsi in una prospettiva di “rinnovamento intelligente”. Per questo ho deciso di rinunciare alla candidatura alle prossime elezioni politiche». Gianfranco Morgando, segretario regionale annuncia la volontà di fare un passo indietro di fronte ad un percorso politico che «molti considerano naturale».
Segretario, lei fa un passo indietro, altri stanno facendo molti passi in avanti per ritagliarsi un posto in Parlamento. Non sembra un rinnovamento ma l’autoconservazione. E’ così?

«So bene che non bastano i gesti individuali. La mia scelta è un messaggio nei confronti di tutti: è necessario mettere al centro una prospettiva collettiva anziché quella personale. Certo, molto dipenderà dal sistema elettorale con cui si andrà a votare ma, in ogni caso, il PD ha delle regole sul numero dei mandati che saranno rispettate».
Già, ma poi ci sono le deroghe, gli uscenti, le aspettative di consiglieri e assessori. Difficile trovare lo spazio per volti nuovi…
«Per il bene del partito credo sia necessario non farsi travolgere da una cultura del tempo che semplifica tutto e pensa che ormai le categorie della politica siano soltanto quelle del vecchio e del nuovo».
Belle parole…
«Mettiamola così: le regole non prevedono automaticamente la candidatura dei parlamentari uscenti. E il partito non assicura garanzia di carriera. Per tutti ci sarà una valutazione del lavoro svolto tenendo conto del fatto che ci sono delle province non rappresentate in parlamento e ci sono mondi vitali che si stanno allontanando dal PD. Ridare voce a queste realtà sarà la sfida che dovremo affrontare nelle decisioni sulle liste».
Liste pulite?
«Sarà applicato il codice etico del partito a livello nazionale e poi credo sarà anche fatta una valutazione di opportunità politica».
Non si candida perché pensa di entrare nel governo in caso di vittoria del centrosinistra?
«No. E non farò più il segretario regionale. Mi piace far politica anche se devo dire che nel Pd c’è un problema: l’insufficiente riflessione intellettuale, culturale e di pensiero. Ecco, se possibile mi piacerebbe dare una mano in questo campo, soprattutto per quanto riguarda il federalismo».
Federalismo? Lo scandalo del Lazio, le polemiche legate ai costi di regioni e degli enti locali. Non è suonato il de profundis per le autonomie locali?
«Impossibile negare la gravità di quello che è successo alla regione Lazio E’ in atto un processo neo–centralista che si manifesta in molti campi, e che noi vogliamo combattere dimostrando che nel governo locale ci sono le energie per un progetto riformatore al servizio di tutte la società italiana. Il lavoro del nostro gruppo, le proposte che avanziamo in Consiglio regionale vanno in questa direzione».
Quanto incideranno le primarie sul futuro del partito?
«Tra il “popolo democratico” c’è un senso di smarrimento per gli sviluppi della situazione politica: il moltiplicarsi delle candidature alle primarie prefigura uno scontro sul partito, sulla sua natura e sulla sua guida. Anche la candidatura di Renzi non si sottrae a questo limite. Ma è un errore. Non stiamo preparando il Congresso del PD».
Allora si schiera con Bersani?
«Servono regole per la presentazione delle candidature del Partito Democratico che evitino questa farsesca corsa al protagonismo personale. Una decisione di questo tipo aiuterà a tornare al merito dei problemi, a vivere le primarie come un’occasione per parlare con gli italiani di come uscire dalla crisi. Sosterrò Bersani alle primarie esattamente perché penso che la sua proposta sia quella più adatta a dare una risposta a questi problemi».

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